Sabato scorso è apparsa su Repubblica nella rubrica "Posta celere" di Piero Colaprico, sulle pagine di Milano, una lettera che raccontava un bell'episodio accaduto nella nostra scuola. Riportiamo la lettera e la risposta del giornalista.
Una lezione di vita in perfetto mandarino
UNA prima media della «mezza periferia» di Milano, a forte
immigrazione. Un ragazzo presenta un compito di Scienze in ideogrammi cinesi:
non è una barzelletta, come d’obbligo è stato inserito secondo l’età, non secondo
le competenze. Sta di fatto che l’italiano non lo conosce ancora, ma neppure la
docente conosce il cinese mandarino! Però ha l’idea di chiamare una compagna,
anche lei di quel paese, perché legga e, se ne è capace, traduca.
Questa, una timida e minuta undicenne, da poco arrivata
anche lei in Italia, esce in punta di piedi dal banco, legge e poi, per quello
che può, traduce. La classe sorride, ma non irride, è incuriosita da quella
scansione cantilenante della lettura e poi da «quel che viene» nella nostra
lingua. Io non posso fare a meno di applaudire trascinandomi, in questo, l’eco
di tutti i compagni. La ragazzina, a modo suo, arrossisce, stupita di tanto
clamore sulla sua persona, ma si vede che ne esce gratificata, una volta tanto
utile e apprezzata dagli altri, quanto gli altri cercano di fare con lei. Una
vicenda su cui ci sarebbe molto da riflettere.
Io che ci facevo nella classe? Sono, per così dire, il suo
occasionale «docente di sostegno» per l’area scientifica, mero volontariato in
quanto neo pensionato ma, in questo caso, completamente nuovo alla realtà
didattica ed educativa d’oggi. Ovviamente, a ruoli invertiti, sarei out.
Ubaldo
Busolin
Questa lettera, caro pensionato di sostegno, spero arrivi
sulla scrivania di moltissime persone. È attraverso questa bambina, persone
come lei, scuole di mezza periferia, che la nostra umanità può camminare,
correre, respirare, oppure zoppicare, annaspare, rischiare. C’è chi divide e
chi unisce, in questo mondo, e quando lei dice che la classe «non irride» va a
toccare un tema che chiunque abbia figli alle elementari, alle medie, alle
prime classi dei licei, conosce: quel «mi piace» di facebook usato per far
male, quel bulletto che prova a imporre la sua legge, quell’insegnante che sta
fallendo sia la missione educativa, sia forse la sua vita, e se la prende con
lo studente più fragile. È tutto questo, a volte, che viene scagliato addosso
all’immigrato, o al ragazzino adottato, alla ragazzina meno «corazzata», alla
persona che fatica a stabilire i confini tra sé e il mondo che lo circonda.
Perciò, una lezione di mandarino, eccome se può aiutarci: grazie alla sua
lettera «inside».
Piero Colaprico
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